Italia, ogni minuto120 mq coperti da cemento
con 42mila euro a ettaro di costi “nascosti”
Veneto e Lombardia ancora le primatiste

18 luglio 2018. Cementificare sembra essere ancora la parola d’ordine dei nostri amministratori, ammaliati dagli oneri di urbanizzazione che vanno a rimpinguare le casse dei comuni. E, pur se il consumo di suolo si è attestato -tra il 2016 e il 2017- intorno ai 120 mq al minuto, pari a 2 mq al secondo facendo viaggiare a velocità più ridotta l’impermeabilizzazione del Bel Paese, occorre considerare il valore dei costi nascosti che si pagano, valutati da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), tra i 914,5 milioni e poco più di un miliardo di euro, ovvero a un valore compreso tra i 36.066 e i 42.068 euro per ogni ettaro di suolo consumato nel quinquennio 2013-2017.La crescita urbana – ma più in generale l’espansione del costruito e il relativo consumo di suolo – a danno di paesaggi e territori naturali e semi-naturali, è tra i fattori aventi maggior impatto sul cambiamento climatico-ambientale che affligge il pianeta (Foley et al. 2005; Rockström et al. 2009). Nondimeno, è stato osservato come le classi di copertura del suolo caratterizzate dalla presenza di vegetazione (quali ad esempio pascoli, boschi, arbusti, terre coltivate, ecc) siano quelle che maggiormente risentono dei processi trasformativi legati all’urbanizzazione. Detto con semplicità, ma…

Italia, ogni minuto120 mq coperti da cemento
con 42mila euro a ettaro di costi “nascosti”
Veneto e Lombardia ancora le primatiste

 

18 luglio 2018. Cementificare sembra essere ancora la parola d’ordine dei nostri amministratori, ammaliati dagli oneri di urbanizzazione che vanno a rimpinguare le casse dei comuni. E, pur se il consumo di suolo si è attestato -tra il 2016 e il 2017- intorno ai 120 mq al minuto, pari a 2 mq al secondo facendo viaggiare a velocità più ridotta l’impermeabilizzazione del Bel Paese, occorre considerare il valore dei costi nascosti che si pagano, valutati da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), tra i 914,5 milioni e poco più di un miliardo di euro, ovvero a un valore compreso tra i 36.066 e i 42.068 euro per ogni ettaro di suolo consumato nel quinquennio 2013-2017.
La crescita urbana – ma più in generale l’espansione del costruito e il relativo consumo di suolo – a danno di paesaggi e territori naturali e semi-naturali, è tra i fattori aventi maggior impatto sul cambiamento climatico-ambientale che affligge il pianeta (Foley et al. 2005; Rockström et al. 2009). Nondimeno, è stato osservato come le classi di copertura del suolo caratterizzate dalla presenza di vegetazione (quali ad esempio pascoli, boschi, arbusti, terre coltivate, ecc) siano quelle che maggiormente risentono dei processi trasformativi legati all’urbanizzazione. Detto con semplicità, ma si spera con chiarezza, un giardino o un parco urbano sottrae senz’altro la capacità del suolo di produrre cibo (ma anche in questo caso si potrebbe immaginare una limitazione parziale), ma ne conserva senz’altro una parte significativa delle funzioni protettive e di supporto alla biodiversità, e, a dire il vero, almeno nei casi migliori, ne esalta i valori estetici e ricreativi. Per favore, ricordatelo ai vostri sindaci che si pavoneggiano per avere strappato oneri di urbanizzazione elevati (?): ricordiamo che l’Italia è tra i Paesi Europei con oneri più bassi!

Solo l’1,2% del costruito avviene su aree non vegetate

Purtroppo, le amministrazioni non sono “sensibili” a queste tematiche: anche nel 2017, sul totale dei 5.409 ettari, il 55,7% è avvenuto su aree precedentemente destinate a seminativi. A questi, devono essere aggiunti altre ampie superficie agricole perse, occupate, prima dell’artificializzazione, da foraggere (5,2% del totale del consumo di suolo dell’ultimo anno), frutteti (3,9%), oliveti (3,4%) e vigneti (2,4%). Nel complesso, il 70,6% dei cambiamenti è avvenuto proprio a scapito di aree agricole. Il resto del consumo di suolo è avvenuto su aree a copertura erbacea non utilizzate per l’agricoltura (18,7%), su aree a copertura arborea o arbustiva (9,4%) o su altre aree non vegetate (1,2%). Inoltre, la copertura artificiale non deteriora solo il terreno direttamente coinvolto, ma produce impatti notevoli anche su quello circostante: gli effetti, la perdita di parte delle funzioni fondamentali, si ripercuotono sul suolo fino a 100 metri di distanza. In altri termini, oltre la metà del territorio nazionale (56%) risulta compromesso.
“In vista della ripresa economica -si legge nel rapporto presentato ieri da Ispra- questa non dovrà assolutamente accompagnarsi a una ripresa della artificializzazione del suolo che i fragili territori italiani non possono più permettersi. Non possono permetterselo neanche dal punto di vista strettamente economico, come ci indica la Commissione Europea, alla luce della perdita consistente di servizi ecosistemici e all’aumento di quei “costi nascosti”, dovuti alla crescente impermeabilizzazione del suolo che anche in questo Rapporto sono presentati al fine di assicurare la comprensione delle conseguenze dei processi di artificializzazione, delle perdite di suolo e del degrado a scala locale anche in termini di erosione dei paesaggi rurali, perdita di servizi ecosistemici e vulnerabilità al cambiamento climatico. L’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo in Europa, comporta un rischio accresciuto di inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità, provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali e seminaturali, contribuisce insieme alla diffusione urbana alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale”.
Questa analisi conferma come il consumo di suolo avviene a discapito delle principali funzioni e risorse ovvero della produzione di beni e materie prime (che, in questo caso, assolvono bisogni primari come acqua e cibo), regolazione dei cicli naturali (in particolare quello idrologico) e assorbimento degli scarti della produzione umana (in questo caso la CO2 derivante dai processi produttivi).
Al di là dei numeri, comunque significativi, è utile mettere in evidenza alcune questioni rilevanti. Come anticipato sopra, i valori enunciati rappresentano una sottostima del reale flusso di servizi che i processi ecologici forniscono per il benessere umano e sarà quindi necessario sia completare la gamma di servizi stimati, sia continuare ad affinare le metodologie di stima. Rispetto alla quantificazione economica dei servizi persi, va chiarito che questa –e quindi l’assegnazione di prezzi –non è un modo per costruire le basi per un mercato di compravendita dei servizi ecosistemici, ma al contrario vuole essere uno strumento per mettere in evidenza il valore perlopiù nascosto di ciò che si perde.

Veneto e Lombardia superstar del cemento

Ancora una volta, il Veneto e la Lombardia si collocano in testa alla classifica con il maggior consumo di suolo, rispettivamente 1.134 e 603 ettari di territorio perso. Le due regioni sono anche quelle che maggiormente se ne fregano di costruire in aree vincolare, quali coste, laghi, fiumi ecc: in testa ancora il Veneto con un +13,21%, seguita dalla Lombardia che segna un + 12,04%. Tra le città lombarde a maggior vocazione cementifera spicca la provincia di Milano, che ha “inghiottito” 121 ettari di suolo (nel complesso ha impermeabilizzato, includendo gli anni precedenti, oltre 50mila ettari; al secondo posto Pavia (99,2 ettari) seguita da Bergamo con 78,8 ettari, Brescia perde 78,4 ettari, è prima in classifica con 55.139 ettari spariti nei decenni precedenti, mentre Mantova 69,7. Monza-Brianza ha consumato ulteriori 35,2 h, Lodi 28,4, Varese 27,4, Cremona 24,5, Como 18,1, Sondrio 16,9 e Lecco 6 ettari. Ma le previsioni di cemento in Lombardia, soprattutto a Milano e nella sua Città Metropolitana, sono già angoscianti: autostrade, centri commerciali, poli logistici, innumerevoli cittadelle della salute…
“È nostro dovere seguire le trasformazioni del territorio, risorsa non rinnovabile e vitale per il nostro benessere e per l’economia – ha dichiarato il Presidente ISPRA e SNPA Stefano Laporta – senza interventi normativi efficaci, il consumo di suolo non si fermerà”. La risposta del nuovo ministro dell’Ambiente Sergio Costa: “Ripartiamo dalla norma precedente e andiamo avanti, con modifiche: bilancio ecologico, questione lottizzazioni, concetto di spreco di suolo, maggior attenzione alle zone protette ed inserimento di zone a rischio frane e terremoti”.
Certo è che la legge sul consumo di suolo giace nei cassetti del Parlamento ormai da anni… chi avrà la coscienza di emanarne una seria e decente per fermare lo scempio del nostro territorio?

 

Italia, ogni minuto120 mq coperti dal cemento con 42mila euro a ettaro di costi “nascosti” Veneto e Lombardia ancora le primatiste

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