Il consumo di suolo in Italia
scende da 8 a 7 mq al secondo
Ma la Lombardia è sempre in testa

L’Italia del 2014 perde ancora terreno, anche se più lentamente: le stime portano al 7% la percentuale di suolo direttamente impermeabilizzato (il 158% in più rispetto agli anni ’50) e oltre il 50% il territorio che, anche se non direttamente coinvolto, ne subisce gli impatti devastanti. Rallenta, quindi, la velocità di consumo, tra il 2008 e il 2013, che viaggia ad una media di 6-7 mq al secondo. In sintesi, sono state ricoperte aree protette, zone a pericolosità idraulica e rive di fiumi e laghi: quasi il 20% della fascia costiera italiana – oltre 500 Kmq – l’equivalente dell’intera costa sarda, è perso ormai irrimediabilmente. È stato impermeabilizzato il 19,4% di suolo compreso tra 0-300 metri di distanza dalla costa e quasi il 16% compreso tra i 300-1000 metri.
Spazzati via anche 34.000 ettari all’interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi.
Il cemento è davvero andato oltre invadendo persino il 2% delle zone considerate non consumabili (montagne, aree a pendenza elevata, zone umide). Nella classifica delle regioni “più consumate”, si confermano al primo posto Lombardia e …

 

Il consumo di suolo in Italia
scende da 8 a 7 mq al secondo
Ma la Lombardia è sempre in testa

L’Italia del 2014 perde ancora terreno, anche se più lentamente: le stime portano al 7% la percentuale di suolo direttamente impermeabilizzato (il 158% in più rispetto agli anni ’50) e oltre il 50% il territorio che, anche se non direttamente coinvolto, ne subisce gli impatti devastanti. Rallenta, quindi, la velocità di consumo, tra il 2008 e il 2013, che viaggia ad una media di 6-7 mq al secondo. In sintesi, sono state ricoperte aree protette, zone a pericolosità idraulica e rive di fiumi e laghi: quasi il 20% della fascia costiera italiana – oltre 500 Kmq – l’equivalente dell’intera costa sarda, è perso ormai irrimediabilmente. È stato impermeabilizzato il 19,4% di suolo compreso tra 0-300 metri di distanza dalla costa e quasi il 16% compreso tra i 300-1000 metri.
Spazzati via anche 34.000 ettari all’interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi.
Il cemento è davvero andato oltre invadendo persino il 2% delle zone considerate non consumabili (montagne, aree a pendenza elevata, zone umide).
A mappare lo stivale della “copertura artificiale” è l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, controllato dal ministero dell’Ambiente) che, grazie alla cartografia ad altissima risoluzione, nel suo Rapporto sul Consumo di Suolo 2015, presentato questa mattina (6 maggio) a Milano nel corso del convegno Recuperiamo Terreno – utilizza nuovi dati, aggiorna i precedenti e completa il quadro nazionale con quelli di regioni, province e comuni, senza trascurare coste, suolo lungo laghi e fiumi e aree a pericolosità idraulica.

Le maggiori perdite sono aree agricolee a causa di autostrade

Le nuove stime confermano la perdita prevalente di aree agricole coltivate (60%), urbane (22%) e di terre naturali vegetali e non (19%). Stiamo cementificando anche alcuni tra i terreni più produttivi al mondo, come la Pianura Padana, dove il consumo è salito al 12%. Quindi, in un solo anno, oltre 100.000 persone, a causa della perdita di aree agricole, hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti di qualità italiani.
Ma sono le periferie e le aree a bassa densità le zone in cui il consumo è cresciuto più velocemente. Le città continuano ad espandersi disordinatamente (sprawl urbano) esponendole sempre di più al rischio idrogeologico.
Nella classifica delle regioni “più consumate”, si confermano al primo posto Lombardia e Veneto (intorno al 10%), mentre alla Liguria vanno le maglienere della copertura di territorio entro i 300 metri dalla costa (40%), della percentuale di suolo consumato entro i 150 metri dai corpi idrici e quella delle aree a pericolosità idraulica, ormai impermeabilizzate (il 30%).
Tra le zone a rischio idraulico è invece l’Emilia Romagna, con oltre 100.000 ettari, a detenere il primato in termini di superfici.
Monza e Brianza, ai vertici delle province più cementificate, raggiunge il 35%; a livello comunale, invece, nelle province di Napoli, Caserta, Milano e Torino si registrano casi che oltrepassano il 50%, raggiungendo anche il 60%. Il record assoluto, con l’85% di suolo sigillato, va al piccolo comune di Casavatore nel napoletano.
Le strade rimangono una delle principali causa di degrado del suolo, rappresentando nel 2013 circa il 40% del totale del territorio consumato (strade in aree agricole il 22,9%, urbane 10,6%, il 6,5% in aree ad alta valenza ambientale).
L’ISPRA ha anche effettuato una prima stima della variazione dello stock di carbonio, dovuta al consumo di suolo. In 5 anni (2008-2013), sono state emesse 5 milioni di tonnellate di carbonio, un rilascio pari allo 0,22% dell’intero stock immagazzinato nel suolo e nella biomassa vegetale nel 2008.
Senza considerare gli effetti della dispersione insediativa, che provoca un ulteriore aumento delle emissioni di carbonio (sotto forma di CO2), dovuto all’inevitabile dipendenza dai mezzi di trasporto, in particolare dalle autovetture.

Ma c’è chi corre ai ripari

Tuttavia esistono alcune amministrazioni virtuose che hanno deciso di dire basta al consumo di suolo non solo a parole, ma anche nei fatti e l’iniziativa sperimentata con successo da Rivalta (Piemonte) è stata replicata anche da capoluoghi importanti come Reggio Emilia e Bologna.
Qualche settimana fa, l’amministrazione comunale di Reggio Emilia – attraverso una Delibera di Giunta – ha proposto di cancellare dal Piano Strutturale Comunale, l’equivalente del Piano di governo del Territorio (PGT) lombardo, vaste aree che erano già state classificate come edificabili, ma che sono rimaste inutilizzate per anni, e di riclassificarle ad uso agricolo. L’amministrazione non può in alcun modo obbligare i titolari di diritti edificatori a rinunciarvi, eppure la risposta dei cittadini è stata singolare: complice anche la crisi economica e le crescenti imposte sui beni immobili, molti proprietari hanno espresso la chiara volontà di rinunciare ai tali diritti, per una superficie totale di circa 320.000 mq (cioè 32 ettari di terreno, di cui circa 20 ad uso residenziale e 12 ad uso industriale). Pochi anni fa sarebbe stato impensabile sia immaginare un‘iniziativa pubblica di questo genere sia la rinuncia da parte dei proprietari a titoli edificatori acquisiti per riconvertire all’agricoltura aree già destinate all’edilizia e all’industria. “Le città non crescono più” -ha spiegato alla stampa l’assessore all’Urbanistica, Alex Pratissoli- “La nostra decisione non fa altro che assecondare una tendenza del mercato già in atto: la crescita demografica della città è ferma da anni, l’industrializzazione anche. Oltre a questo, reputiamo un valore non incoraggiare il consumo del suolo, ma al contrario valorizzare il patrimonio edilizio già esistente. Il nostro è, prima di tutto, un tentativo di riconoscere valore al lavoro agricolo perché ci troviamo al centro di una regione che produce eccellenze in campo alimentare. Il cambiamento da noi introdotto non vuole rappresentare solo un vincolo di tutela paesaggistico, ma anche sostenere un mondo per noi di assoluta importanza”.

A quando un nuovo miracolo a Milano e dintorni?
 

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