Parco Sud, le trivelle petrolifere
arrivano anche a Zibido S. Giacomo
Ne abbiamo davvero bisogno?

Sono sempre più numerose le potenziali trivelle che andranno nelle viscere del Parco agricolo Sud Milano alla ricerca di idrocarburi. Oltre al territorio ad est di Milano interessato dal permesso di ricerca ‘Melzo’ (182 kmq a rischio trivellazioni), che lo scorso anno il ministero dello Sviluppo economico ha concesso alla Mac oil spa, anche a Zibido San Giacomo, a ovest del Parco Sud, si va alla perforazione con il permesso esplorativo ‘Badile’ (154 kmq distribuiti tra Milano e Pavia), concessa nel 2010 alla Appennine Energy spa. Eppure, le riserve di combustibili fossili sfruttabili nel nostro Paese, secondo la BP Statistical Review del giugno 2014, ammontano a 290 Mtep. Poiché il consumo di energia primaria annuale è di 159 Mtep, queste ipotetiche riserve corrispondono al consumo di meno di due anni. Spalmate su un periodo di 20 anni, ammontano a circa il 9% del consumo annuale di energia primaria. “Si tratta quindi di una risorsa molto limitata, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può apportare. Il mancato apporto di questa risorsa marginale potrebbe essere facilmente compensato, senza il rischio di creare problemi, riducendo i consumi”, spiega Energie per l’Italia, un pool di scienziati e professori che ha lanciato al Governo italiano un appello per dirottare gli investimenti sulle fonti rinnovabili… E le royalties che pagano le aziende petrolifere sono le più basse al mondo.

 

Parco Sud, le trivelle petrolifere
arrivano anche a Zibido S. Giacomo
Ne abbiamo davvero bisogno?

Sono sempre più numerose le potenziali trivelle che andranno nelle viscere del Parco agricolo Sud Milano alla ricerca di idrocarburi. Oltre al territorio ad est di Milano interessato dal permesso di ricerca ‘Melzo’ (182 kmq a rischio trivellazioni), che lo scorso anno il ministero dello Sviluppo economico ha concesso alla Mac oil spa, anche a Zibido San Giacomo, a ovest del Parco Sud, si va alla perforazione con il permesso esplorativo ‘Badile’ (154 kmq distribuiti tra Milano e Pavia), concessa nel 2010 alla Appennine Energy spa.
Ma, a est come a ovest, i cittadini sono in apprensione e si stanno mobilitando. A Zibido si è recentemente costituita un’associazione contro le trivellazioni sul loro territorio, che sta raccogliendo firme per il ‘No alle trivelle’ e, per sabato 8 novembre, promuove una manifestazione locale: il corteo partirà alle 10 da piazza Roma (davanti al Municipio) e terminerà in via Longarone, nell’area scelta per la perforazione del pozzo esplorativo.
Stando ai bene informati, infatti, la Regione Lombardia sarebbe in procinto di rilasciare alla Apennine Energy parere favorevole alla VIA (Valutazione d’impatto ambientale) per la perforazione di un pozzo esplorativo lungo il Naviglio Pavese e in una zona circondata dal Parco Agricolo Sud Milano.
Apennine Energy (controllata al 100% dalla Sound Oil Plc) è una piccola società britannica che opera in Italia dal 2006 con un portafoglio di titoli minerari costituito da 1 istanza di concessione, 2 concessioni di coltivazione, 8 permessi di ricerca e 8 istanze di permesso in Lombardia, Marche, Veneto, Basilicata, Emilia Romagna.  
L’area di Zibido non è nuova a queste attività. Infatti, con la concessione governativa Gaggiano, l’Eni, tra il 1998 e il 2003, ha già effettuato ricerche con 10 pozzi esplorativi (di cui 6 sterili, ovvero senza ritrovamenti) da cui ha estratto gas e olio greggio. L’Appennine Energy per ora sta concentrando la ricerca di gas nel territorio di Zibido San Giacomo (Badile è una frazione di questo comune), in località Moirago, dove ipotizza la presenza di gas metano situato a 4 chilometri di profondità sotto al Parco agricolo sud Milano.


“Il pozzo per il quale è stata chiesta la compatibilità ambientale a Regione Lombardia -si legge nel numero di ottobre del periodico del comune di Zibido (vedi da pagina 9)- è attualmente solo di ricerca e non di estrazione (tecnicamente detto “di coltivazione”) del gas metano. Quindi, sono due le ipotesi che potrebbero verificarsi:
− il pozzo è “sterile” (non c’è gas metano) e viene quindi chiuso, ripristinando completamente i luoghi;
− viene trovato il gas e sarà quindi necessario avviare una nuova procedura di valutazione di impatto ambientale per verificare tutti gli effetti conseguenti”.
Attenzione però: non c’è molto da illudersi perché, stando all’articolo 38 del decreto Sblocca Italia, per la prospezione, ricerca e coltivazione di gas e petrolio basterà una concessione unica e i poteri autorizzativi saranno in mano al Governo, estromettendo di fatto Regioni, Comuni e cittadini.

La perforazione e i suoi impatti

Come ci spiega il sito Eniscuola “La fase di perforazione è una delle più critiche e delicate del ciclo del petrolio e può comportare forti impatti ambientali. Perforare un pozzo è operazione lunga e costosa, ma semplice. Durante la perforazione, infatti, vengono prodotte grandi quantità di frammenti rocciosi, che sono rivestiti dal cosiddetto “fango di perforazione”. Il fango di perforazione è una miscela complessa, composta da additivi chimici, a base di acqua od olio, utilizzata per prevenire il collasso dei pozzi durante la perforazione. In passato, i fanghi di perforazione venivano accumulati e abbandonati sul posto. Oggi questa metodologia di smaltimento è stata superata e i fanghi vengono trattati e smaltiti adeguatamente per ridurre a zero l’impatto ambientale. Per prima cosa, a seconda della natura dei fanghi, viene separata la fase acquosa od oleosa del fango e vengono eliminate tutte le sostanze potenzialmente dannose. Sia la fase acquosa sia quella oleosa vengono recuperate e riciclate, mentre la fase solida decontaminata può seguire tre diverse strade: il conferimento in discarica, il riutilizzo come materiale di costruzione, ad esempio per strade o mattoni, o, infine, la reiniezione nel sottosuolo”.

In Italia le royalties più basse del mondo

Il perché di tanto interesse al territorio nazionale e lombardo di compagnie petrolifere, prevalentemente estere, si spiega anche con le “percentuali di compensazione ambientale” tra le più basse al mondo e con royalties, cioè il corrispettivo che le compagnie petrolifere versano a Stato ed enti locali come compensazione per lo sfruttamento del territorio, irrisorie: sul gas il decreto Sviluppo del 2012 le ha aumentate dal 7% al 10%, e sul petrolio dal 4% al 7%; nel resto del mondo vanno invece dal 20% all’80% del valore degli idrocarburi estratti. Inoltre, vi sono esenzioni dal pagamento delle royalties sulle prime 20mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, come sulle prime 50mila tonnellate di petrolio estratte in mare, sui primi 25milioni di metri cubi di gas in terra e sui primi 80milioni di metri cubi in mare. Non solo: sulle 59 società operanti in Italia, nel 2011, solo 5 hanno effettuato versamenti delle royalties (Eni, Shell, Edison, Jonica gas, Adriatica idrocarburi).
Tanto che Legambiente, nel documento consegnato lo scorso marzo alle commissioni congiunte Ambiente e Attività produttive della Camera, evidenziava che “Se si aggiornassero i canoni con cifre più adeguate, le compagnie petrolifere potrebbero versare alle casse dello Stato oltre 300 milioni di euro rispetto all’attuale milione”. 
Legambiente suggerisce quindi delle aliquote di “almeno 1.000 euro al km quadrato per la prospezione, 2mila per le attività di ricerca e fino a 16mila per la coltivazione”.

Ma ne abbiamo davvero bisogno?

“Un grande Paese come l’Italia non può concentrasi su un solo asset. Giusto puntare con coraggio sulla sostenibilità e sulle rinnovabili. È però evidente che petrolio e gas rimangono indispensabili e noi importiamo la grandissima parte di quello che consumiamo. Se l’Italia riesce a ridurre le importazioni è un fatto positivo ma questo va fatto in accordo con i territori e mettendo prima di tutto la tutela della salute ed il rispetto dell’ambiente”. Lo dice Roberto Speranza,  capogruppo Pd alla Camera. Il nostro onorevole evidentemente non è al corrente che le riserve di combustibili fossili sfruttabili nel nostro Paese, secondo la BP Statistical Review del giugno 2014, ammontano a 290 Mtep. Poiché il consumo di energia primaria annuale è di 159 Mtep, queste ipotetiche riserve corrispondono al consumo di meno di due anni. Spalmate su un periodo di 20 anni, ammontano a circa il 9% del consumo annuale di energia primaria. “Si tratta quindi di una risorsa molto limitata, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può apportare. Il mancato apporto di questa risorsa marginale potrebbe essere facilmente compensato, senza il rischio di creare problemi, riducendo i consumi”, spiega Energie per l’Italia, un pool di scienziati e professori che ha lanciato al Governo italiano un appello per dirottare gli investimenti sulle fonti rinnovabili: “Anziché trivellare il Bel Paese, si dovrebbero mettere pannelli solari sui tetti di tutti i capannoni d’Italia e sostenere la transizione verso le fonti green, che già oggi coprono il 40% del fabbisogno di energia elettrica nazionale. La fine dell’era dei combustibili fossili è inevitabile e ridurne l’uso è urgente per limitare l’inquinamento dell’ambiente. Ridurre il consumo dei combustibili fossili, che importiamo per il 90%, significa anche ridurre la dipendenza energetica del nostro paese e migliorare la bilancia dei pagamenti”.

 

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