Il no alle aree naturali nel Parco Sud
da parte di associazioni degli agricoltori
è basato su paure, non su fatti

21 febbraio 2019. L’audizione delle associazioni agricole Confagricoltura, Coldiretti e Confagri, tenutasi la scorsa settimana in commissione Agricoltura di Regione Lombardia, ha ribadito una presa di posizione contraria: la maggior parte degli agricoltori, o almeno delle sigle sindacali che li rappresentano, temono che l’istituzione di un Parco naturale all’interno del Parco Agricolo Sud Milano (costituito da alcune “isole” di territori ad alta vocazione naturale), espressamente prevista dalle norme regionali, metta a rischio e danneggi le attività agricole. L’unica associazione agricola favorevole è la Cia (Confederazione Agricola Italiana), ma sulle altre domina la paura.
Abbiamo atteso qualche giorno per avere a disposizione i testi delle dichiarazioni registrate, e ne riportiamo qui ampi stralci. Se ne deduce, in estrema sintesi, che le paure sono tante, ma le ragioni addotte sono inconsistenti. Sembra di essere tornati a 30 anni fa, quando il Parco Agricolo Sud Milano fu istituito con la contrarietà degli agricoltori, tranne uno sparuto gruppo che si batté a fianco delle associazioni ambientaliste. Dopo tre decenni, si può tranquillamente affermare che i fatti hanno dato ragione all’esigua minoranza: il Parco non solo ha permesso la difesa dell’agricoltura in tanti territori intorno a Milano e agli altri 60 comuni, ma l’ha anche rafforzata. Nel milanese, la domanda di prodotti puliti da parte dell’ampio bacino di cittadini sensibili e lo sviluppo delle attività agrituristiche hanno permesso a questo settore nell’ultimo decennio di crescere sia in termini di fatturato sia di occupati, in controtendenza con altri settori economici falcidiati dalla crisi…

Il no alle aree naturali nel Parco Sud
da parte di associazioni degli agricoltori
è basato su paure, non su fatti

21 febbraio 2019. L’audizione delle associazioni agricole Confagricoltura, Coldiretti e Confagri, tenutasi la scorsa settimana in commissione Agricoltura di Regione Lombardia, ha ribadito una presa di posizione contraria: la maggior parte degli agricoltori, o almeno delle sigle sindacali che li rappresentano, temono che l’istituzione di un Parco naturale all’interno del Parco Agricolo Sud Milano (costituito da alcune “isole” di territori ad alta vocazione naturale), espressamente prevista dalle norme regionali, metta a rischio e danneggi le attività agricole. L’unica associazione agricola favorevole è la Cia (Confederazione Agricola Italiana), ma sulle altre domina la paura.
Abbiamo atteso qualche giorno per avere a disposizione i testi delle dichiarazioni registrate, e ne riportiamo qui ampi stralci. Se ne deduce, in estrema sintesi, che le paure sono tante, ma le ragioni addotte sono inconsistenti. Sembra di essere tornati a 30 anni fa, quando il Parco Agricolo Sud Milano fu istituito con la contrarietà degli agricoltori, tranne uno sparuto gruppo che si batté a fianco delle associazioni ambientaliste. Dopo tre decenni, si può tranquillamente affermare che i fatti hanno dato ragione all’esigua minoranza: il Parco non solo ha permesso la difesa dell’agricoltura in tanti territori intorno a Milano e agli altri 60 comuni, ma l’ha anche rafforzata. Nel milanese, la domanda di prodotti puliti da parte dell’ampio bacino di cittadini sensibili e lo sviluppo delle attività agrituristiche hanno permesso a questo settore nell’ultimo decennio di crescere sia in termini di fatturato sia di occupati, in controtendenza con altri settori economici falcidiati dalla crisi.

Si parte con pacate preoccupazioni, si finisce con la fifa blu

Dario Ravelli, di Confagricoltura, dopo aver sottolineato che le aree individuate dai tecnici del Parco Sud hanno una superficie complessiva di ben 9.700 ettari (che includono anche le riserve già presenti) e interessano 27 comuni, evidenzia che le norme e i regolamenti che disciplineranno le procedure nelle aree del Parco non sono ancora conosciute. “Le nostre considerazioni sono sviluppate sull’esperienza e riscontrate in altre realtà regionali già consolidate, ed è quindi giustificato il nostro timore di essere di fronte a un provvedimento di grande impatto per l’attività agricola, con vincoli sicuri che saranno imposti non solo dal Parco, ma anche da autorità pubbliche di livello superiore”. Ravelli continua rifacendosi alle norme nazionali che disciplinano, per l’istituzione dei parchi naturali, l’utilizzazione “soprattutto dei demani e dei patrimoni forestali di enti pubblici, quindi regionali, provinciali e comunali, al fine di un utilizzo razionale del territorio per attività compatibili con la speciale destinazione dell’area”. Il grassetto è nostro, perché vogliamo sottolineare che Confagricoltura sembra dimenticarsi questo “soprattutto”, per arrivare a concludere l’incompatibilità dei parchi naturali con le attività agricole. Il crescendo delle paure assume ritmi sempre più incalzanti nell’esposizione di Ravelli: “Se un’opera edilizia, portiamo ad esempio una nuova stalla, un fienile, un canale di irrigazione, una strada campestre o anche la manutenzione straordinaria di edifici esistenti, devono passare al vaglio di ulteriori restrizioni, vuol dire che sulle sorti dell’agricoltura di queste aree vengono a gravare nuovi rischi. Innanzitutto quello di diniego delle autorizzazioni e poi nuovi oneri, le prescrizioni di contenuto e di costi che saranno imprevedibili”.
Insomma, si era partiti dall’onesta dichiarazione che non si conoscono le norme e i regolamenti che disciplineranno le aree del nuovo parco naturale e si conclude paventando prescrizioni, dinieghi e costi imprevedibili, con conseguente “ribasso dei valori fondiari che nelle aree di maggior tutela hanno fatto registrare ad oggi una discesa verticale”.
Alessandro Rota, presidente di Coldiretti Milano Lodi e Monza Brianza, nel suo intervento cita due elementi di preoccupazione: “Il primo è legato all’importante problematica che oggi è presente sui nostri territori ovvero quella relativa agli animali selvatici e nocivi. È una problematica che sta portando, oltre che danni alle coltivazioni, alle produzioni agricole nel nostro territorio, sempre più problemi legati alla sicurezza… che oggi non vede sul territorio di città metropolitana la messa in atto di interventi volti al contenimento di specie selvatiche e nocive. Questo porta i cittadini ad arrangiarsi per non vedersi le nutrie nel proprio territorio o per poter accedere al cimitero di Lambrate senza inciampare in qualche nutria o in qualche selvatico”.
Queste dichiarazioni, per il tono sopra le righe (…problemi di sicurezza?!?) non sembrano essere state effettuate in una commissione regionale, ma in qualche Bar Sport o Trattoria dei Cacciatori, dove ci si spalleggia ad armarsi di doppietta e far fuori le famigerate nutrie, che comprendiamo siano un problema per l’agricoltura, ma non certo legato alle aree naturali.
“La seconda preoccupazione è legata agli ulteriori vincoli che potrebbero entrare in campo con l’istituzione delle aree Parco naturali” che, sempre secondo Rota, porterebbero a “una sorta di concorrenza sleale rispetto alle aziende agricole non appartenenti al Parco”. Anche in questo caso, si parte con un condizionale e si arriva a descrivere danni certi. 

Il senso delle controproposte: fermate il mondo, voglio scendere!

“In questo momento storico, nel quale già si fa fatica a dare risposte legate alla sicurezza dei nostri territori -prosegue il presidente Rota- avviare un ulteriore iter che porterebbe altri vincoli in una situazione di totale sfiducia da parte dei territori, non credo sia un percorso virtuoso… Siamo oggi a vedere una possibilità solo esclusivamente svolgendo questo iter, legandolo soprattutto ad aree fortemente naturali quindi non produttive… Oggi vediamo la possibilità solo esclusivamente partendo da quelle aree come fontanili o riserve naturali già presenti sul territorio aggiungendo, qualora ce ne fossero, adesioni volontarie condivise sia da coloro che conducono sia da parte proprietaria dei fondi”.
Anche Antonella Viola, la sindaca del Comune di Lacchiarella, che nell’incontro era al fianco delle associazioni agricole, esprime un giudizio netto: “La proposta di formazioni di aree a Parco naturale all’interno del Parco Agricolo Sud Milano, pur nella tutela dell’ambiente e della vocazione agricola del territorio, pone già numerosi vincoli. Le aziende agricole hanno espresso una volontà, cioè lasciare fuori dal perimetro delle aree del Parco naturale i terreni destinati alle coltivazioni”.
 
Insomma, per cercare di sintetizzare: anche se sono passati quasi trent’anni dall’istituzione del Parco Sud (era il 1990), non è il momento per delimitare al suo interno il parco naturale. Al massimo si inseriscano dentro le aree pubbliche e i terreni dei proprietari che ci stanno. Non osiamo pensare al costo di piantare migliaia di cartelli in un territorio dove ogni qualche centinaio di metri cambiano le regole, del tipo qui si può cacciare, qui no.
Sempre la sindaca Violi lancia una proposta che potrebbe avere un senso: “Ritengo che, prima di partire dal perimetrare quale che siano le aree del futuro Parco naturale, sia importante stilare un regolamento, quindi fare un percorso coordinato, sinergico con le associazioni di categoria, partendo dal regolamento che manca, di modo che gli agricoltori possono avere già un’idea di quali siano e possano essere i vincoli ai quali saranno sottoposti, dopo, eventualmente, parlare di perimetrazione del Parco naturale”.
Questa richiesta ha il pregio di essere stata fatta nel consesso giusto. Solo il Consiglio regionale può rimettere mano a una sua legge, che prevede proprio il contrario: ovvero -secondo la legge regionale n. 86/1983- prima si individuano all’interno dei confini dei parchi regionali i territori più naturali, poi si dettano le regole. Regole che verranno redatte proprio dalla Regione che, a quanto ci consta, non è certo governata da ultras ambientalisti e animalisti, e che avrà tutti i mezzi per non penalizzare gli imprenditori agricoli.
Per calmare gli animi, basterebbe leggere le norme che regolano le aree naturali con attività agricole nel Parco del Ticino, limitrofo al Parco Sud. L’articolo 8 del DGR 2.8.2001 n° 7/5983 contiene norme di buon senso, che non penalizzano certo le attività imprenditoriali agricole. Servirebbe un po’ più di buon senso e capacità di ragionare a mente fredda, come è stato fatto venti anni fa nel Parco del Ticino.

 

no degli agricoltori alle aree naturali nel Parco Sud

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